Lettera di fine anno (alcune riflessioni sulla fotografia)

Come ogni anno, alla vigilia del Natale, ho pensato di realizzare un bigliettino informale da spedire a tutti voi. Ma, non so bene perché, non me ne è venuto in mente nessuno.
La verità è che ho voglia di scrivere una lettera. Che non ne scrivo da un po’. E ho voglia di scriverla anche a chi di voi, colleghi, giornalisti, photoeditor, non conosco di persona.

Forse perché questo 2014 che sta per arrivare, saranno 10 anni tondi tondi che fotografo e forse è giusto fare qualche riflessione in merito. Nel 2004 ho lasciato chimica farmaceutica per dedicarmi anima e corpo alla Fotografia. È stata una scelta istintiva, forte, radicata. E se dovessi tornare indietro, rifarei tutto, da cima a fondo.

Perché la fotografia mi ha salvato, mi ha permesso di vivere me stessa, di sperimentarmi dentro situazioni che altrimenti mai avrei potuto nemmeno vedere. Mi ha permesso di conoscere persone splendide, persone interessanti, persone complicate e anche persone da cui vorresti a volte star lontano.

Perché la fotografia è questo. Un mezzo che permette di crescere, costruire, imparare. Un mezzo per formarsi, costantemente, interagendo col mondo che ci circonda. Che il fotografo è testimone, ma non è mai un testimone passivo.
Se dovessi fare una riflessione su questo 2013, io non posso che esser contenta per quello che ho ottenuto e per quello che credo, o forse spero, di aver dato a chi ha richiesto il mio sguardo per raccontare una storia.

Ho ricevuto importantissimi riconoscimenti a livello internazionale e in tutta onestà non me ne aspettavo nemmeno uno.

Però questo 2013 ho visto anche molte cose brutte.

Ho visto ottimi colleghi non riuscire più a lavorare. E non perché le richieste di lavoro non ci siano, ma perché purtroppo spesso o non sono retribuite o sono retribuite troppo poco e male.
Queste amici, questi colleghi, non riescono più a pagare un mutuo, o a pagare le tasse per se stessi e per i loro figli. E questo perché? Perché spesso i lavori vengono commissionati a ragazzini alle prime armi che lavorano 10 ore in trasferta pur di prendere 100 euro (fatturati?). O perché i lavori vengono pagati magari il giusto, ma dopo 6 mesi o dopo un anno dal servizio realizzato.
O perché i giornali preferiscono prendere le foto gratuite dei lettori piuttosto che spendere 20 euro e comprare quelle dei fotoreporter che investono in tempo, attrezzatura, aggiornamento professionale, e che seguono un codice deontologico che nel bene e nel male permette all’informazione di essere realmente tale e non filtrata o di parte.
O perché, e questo è un tasto dolente, la fotografia è diventata la guerra dei poveri e sono gli stessi tuoi colleghi (che a volte si spacciano pure per compagni di spritz) che abbassano i loro compensi pur di accaparrarsi il tuo cliente, l’azienda per cui lavori, l’agenzia fotografica, o una coppia di sposi ignara di tutto.

Per questi colleghi si può inizialmente provare rabbia, perché non passa giorno che io non venga a conoscenza di chi tenta di prendersi il lavoro altrui in modo spesso disonesto e poco trasparente. Poi riflettendo attentamente sulla questione ho provato tristezza.

Innanzi tutto, perché andare a distruggere quello che una persona ha costruito per anni per acquisire un cliente al quale ti proponi a meno o ti proponi e basta, è molto stupido, e poco lungimirante, perché significa che tra 6 mesi o tra un anno, legittimerai quel cliente a scegliere un altro diverso da te, che sicuramente arriverà sul mercato e arriverà ad un costo ancora minore del tuo.

Secondo, perché svendersi e al contempo inimicarsi qualcuno non è sensato. Se una persona è in difficoltà, anziché devastare un mercato precario, potrebbe confrontarsi, e magari allearsi con chi tiene le cifre alte piuttosto che abbassarle e perdere credibilità agli occhi di colleghi e clienti.

Fare fotografia, significa fare cultura. E lo so che nel nostro paese fare fotografia spesso significa comprare una reflex e fare click, però non è così, davvero, non è così.
In Italia grosse agenzie fotografiche negli ultimi anni hanno chiuso, importanti spazi (cito ad esempio lo Spazio Forma a milano) dedicati a quest’arte hanno dovuto reinventarsi se non addirittura chiudere. I giornali hanno tagliato i fondi.

E so che portare avanti questa disciplina è difficile, ma io credo che ci si debba impegnare tutti insieme, ognuno secondo il ruolo che gli compete, per far sì che la fotografia diventi eccellenza (e in Italia, abbiamo moltissime eccellenze).
Insegnare alle persone che ogni foto ha una storia, e bisogna non solo saperla leggere, ma anche bisogna dar a chi guarda gli strumenti per difendersi da tutte le immagini da cui siamo oramai invasi.

E qui mi rivolgo non solo ai colleghi, ma anche ai giornalisti che dovrebbero lottare insieme ai fotografi per i loro diritti, che scrivere e fotografare sono solo due modi diversi, egualmente importanti, di raccontare un evento. E mi rivolgo ai photoeditor, che lo so che dovete lottare contro budget vergognosi e che dovete scendere a compromessi pur di portare a casa il risultato, ma dovete anche voi lottare insieme a noi, perché ogni qual volta che scegliete una foto da pubblicare, state facendo cultura, state formando gli occhi di qualcuno.

Liberation è uscito senza immagini, qualche settimana fa, per protesta. Ecco, io vorrei che questa protesta diventasse la nostra, tutti insieme. Perché l’editoria è in crisi, e dobbiamo forse farcene una ragione e saperci reinventare, tutti, ma la crisi non può e non deve minare la cultura di un paese.

Un amico, un ottimo collega, ora è in ospedale che lotta contro una terribile malattia. Sulla sua bacheca di facebook, scrive spesso: il tempo passa, ma le foto restano…
Facciamo tutti insieme che sì, le foto resistano alle intemperie di questa vita, perché questa Italia, devastata e sempre più povera, non smetta di credere in se stessa, non smetta di coltivare eccellenza, bellezza, passione.

Questo auguro a tutti voi, e a me stessa, per questo 2014 che sta per arrivare.

Auguri di cuore. 

Barbara